Per vivere bene il sacramento della PENITENZA

Caro fratello e cara sorella in Cristo, vorrei aiutarti a celebrare bene la Confessione e a riscoprire il sacramento della misericordia, con cui il Signore ci guarisce dai nostri peccati, cura le ferite della nostra anima, ci dona la forza di crescere nella fede e migliorare la vita.

Cristo ha istituito il sacramento della Penitenza per tutti i mem­bri peccatori della sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato grave e hanno così perduto la grazia battesimale e inflitto una ferita alla comunione ecclesiale. I Padri della Chiesa presen­tano questo sacramento come «la seconda tavola di salvezza dopo il naufragio della grazia perduta».

Il sacramento della Penitenza è necessario e indispensabile per chi ha commesso peccati mortali; ma è anche utile e fruttuoso come cammino di perfezione per coloro che riconoscono solo peccati veniali.

I nomi di questo sacramento

Gli antichi Padri chiamavano questo sacramento la conversione, perché segna un cambio di vita: ogni confessione può essere un’occasione importante in cui correggiamo la direzione sbagliata che abbiamo imboccato e riprendiamo la direzione giusta. La direzione a cui tendiamo è la santità, cioè l’incontro con Cristo per essere come Lui.

Il termine ufficiale che la Chiesa pone sul libro di questo sacramento è Penitenza, nel senso di atteggiamento interiore di correzione della mentalità. Nel Nuovo Testamento si adopera il termine greco “metànoia”, che vuol dire cambiamento di testa: operazione difficilissima, che solo il Signore può compiere. Quindi tutta la vita del cristiano è penitenza, in quanto superamento del peccato e impegno di vita nuova: prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più si­cura della penitenza.

Una terminologia più moderna la chiama Riconciliazione, valorizzando l’aspetto della relazione che viene ripristinata. Ogni peccato infatti offende Dio e danneggia la comunità, rompe l’amicizia e crea disunione: l’opera del sacramento quindi ricrea la buona relazione con Dio e con la Chiesa, riconcilia il peccatore con il Signore e con i fratelli.

Nel linguaggio corrente chiamiamo questo sacramento Confessione. Tale nome deriva da un’espressione latina che ha due significati: lodare e riconoscere. La Confessione dunque, in quanto celebrazione dell’amo­re misericordioso del Signore, è anzitutto confessio laudis: loda e ringrazia il Signore per i doni che ti rivelano la sua misericordia (la vita, la fede, la famiglia, gli amici, il la­voro, le gioie e anche le fatiche che ti aiu­tano ad amare e ad essere dono…), loda il Signore perché in questo sacramento Dio Padre ti abbraccia come figlio e rico­struisce la libertà perduta con il peccato.

In secondo luogo la Confessione è confessio vitae, cioè una valutazione della tua vita alla luce della parola del Signore: è quello che si chiama esame di coscienza, cioè una riflessione seria e illuminata da Dio che ti spinge a ricono­scere i tuoi peccati e a provarne dispiacere, col desiderio di chiedere il perdono del Signore.

Infine è anche confessio fìdei: dopo aver riconosciuto i tuoi peccati, men­tre ti accingi a ricevere nel sacramento il perdono, rinnova il tuo atto di fede e credi che il Signore può guarire le tue malattie spirituali e impegnati con un proposito a lottare contro i tuoi difetti ricorrenti. Questa è la strada della terapia, per camminare in avanti fino alla piena guarigione.

La celebrazione di questo sacramento comporta due elementi ugual­mente essenziali.

Da una parte, gli atti dell’uomo che si converte sotto l’azione dello Spirito Santo:

1) la contrizione, 2) la confessione e 3) la sod­disfazione.

Dall’altra parte, l’azione di Dio attraverso l’intervento della Chiesa, che concede nel nome dì Gesù Cristo il perdono dei peccati.

Il dispiacere dei propri peccati

Anzitutto il penitente deve essere dispiaciuto del male fatto e del bene trascurato: la contrizione è il dolore dell’animo, accompagnato dalla riprovazione del peccato commesso e dal proposito di non peccare più in avvenire. La tradizionale preghiera del penitente si chiama Atto di dolore, perché ti aiuta ad esprimere il tuo dolore e il tuo dispiacere.

Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi, e molto più perché ho offeso te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Propongo col tuo santo aiuto di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Signore, misericordia, perdonami.

Anche se detto con linguaggio un po’ vecchio, “mi dolgo” vuol dire “provo dolore, mi dispiace”; e mi dispiace con tutto il cuore, non superficialmente. Mi dispiace perché ho paura della dannazione eterna e delle altre pene che incombono sul peccatore: questa è una contrizione imperfetta, perché deriva dal timore; è buona ma non sufficiente. Perciò aggiungi: mi dispiace “molto più” perché ho offeso l’amore di Dio, ho risposto male a un Signore così buono. Questa è la contrizione perfetta, perché nasce dalla carità.

È bene perciò prepararsi a ricevere il sacramento con un attento esame di coscien­za fatto alla luce della Parola di Dio. Non puoi provare dolore e non sapere quali peccati hai commesso; non si tratta di elencare le solite cose per abitudine; devi confessare ciò che davvero ti dispiace, ciò che ti fa soffrire, ciò che vuoi eliminare. Se non c’è questo dolore, vuol dire che non sei pentito e quindi manca una parte importante del sacramento.

Lasciati guidare dalla Parola del Signore che, meditata con la Chiesa, diventa criterio di giudizio sugli orienta­menti di fondo e sui comportamenti pratici della tua vita oggi, spingendoti a ricono­scere i tuoi peccati, cioè le tue mancate ri­sposte all’amore misericordioso del Signore. Per un buon esame di coscienza tieni dun­que presente tutta la morale cristiana e l’intera gamma dei comandamenti, che Gesù, senza abolirne alcuno, ha riassunto nel grande comandamento dell’amore per Dio e per i fratelli.

Ti può essere di aiuto ricordare la Parola di Dio che conosci, qualche lettura che ti ha toccato il cuore e ti ha fatto sentire in colpa, qualche riflessione che ha risvegliato la tua coscienza e ti ha fatto percepire il tuo peccato. Puoi seguire come schema il Decalogo, ma forse è meglio rileggere gli insegnamenti di Gesù e le esortazioni degli Apostoli, che ci offrono pagine splendide su cui confrontarci.

Puoi anche passare in rassegna i sette vizi capitali, in quanto inclinazioni profonde al male che determinano in noi atteggiamenti sbagliati e peccaminosi. Queste radici di tutti i peccati sono: superbia (radicata convinzione della propria superiorità, che si traduce in atteg-giamento di altezzoso distacco o anche di disprezzo verso gli altri); invidia (tristezza per il bene altrui percepito come male proprio); ira (desiderio di vendicare un torto subìto e incapacità di perdono); accidia (torpore malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene, pigrizia, indolenza, svogliatezza); avarizia (cupidigia, avidità, scarsa disponibilità a spendere e a donare ciò che si possiede); gola (ingordigia, esagerazione nei piaceri della tavola, desiderio smodato di possedere cose); lussuria (incontrollata sensualità, irrefrenabile desiderio del piacere sessuale fine a sé stesso, volgare sfruttamento dell’altro e umiliazione del più debole).

La confessione dei peccati

Dopo l’esame di coscienza, occorre accusare sinceramente al sacerdote i peccati commessi, ascoltare le indicazioni del confessore e promettere fermamente a sé e a Dio di cambiare vita. La confessione vera e propria, cioè l’accusa dei peccati, anche da un punto di vista semplicemente umano, ti libera e facilita la tua riconciliazione con gli altri. Con l’accusa infatti guardi in faccia i peccati di cui ti sei reso colpevole; te ne assumi la responsabilità e così ti apri nuova­mente a Dio e alla comunione della Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire.

È necessario dunque enumerare nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hai consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza. Vivamente raccomandata è anche la confessione dei peccati veniali, perché ti aiuta a formare la coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a lasciarti guarire da Cristo, a progredire nella vita dello Spirito.

Colui che è consapevole di aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, senza aver prima ricevuto l’assoluzione sacramentale: in quei casi dunque è importante ricorrere alla Confessione il più presto possibile.

Dopo aver confessato le colpe, devi esprimere la tua contrizione e invocare il perdono di Dio: lo puoi fare con parole tue oppure adoperando qualche formula di preghiera che la Chiesa ti propone. Ti suggerisco questa preghiera come “atto di dolore”, semplice e biblica:

Signore Dio, Padre buono, mi dispiace del male che ho fatto e chiedo il tuo perdono: salvami nella tua misericordia! Gesù, Salvatore del mondo, che hai accolto i peccatori, liberami da ogni colpa e donami la tua pace. Spirito Santo, sorgente d’amore, crea in me un cuore nuovo perché sempre io cammini come figlio della luce.

L’assoluzione sacramentale

Il sacerdote confessore, dopo aver ascoltato l’accusa dei tuoi peccati, ti rivolge qualche parola di esortazione e soprattutto ti dà l’assoluzione: attraverso un gesto umano (la mano tesa e una preghiera) è Dio stesso che opera e realizza realmente il perdono dei peccati. Così il peccatore viene guarito e ristabilito nella comunione ecclesiale.

Imponendo le mani sul penitente, il confessore pronuncia questa formula di assoluzione:

«Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».

Questa formula esprime gli elementi essenziali del sacramento: il Padre delle misericordie è la sorgente di ogni perdono. Egli realizza la riconciliazione dei peccatori mediante la pasqua del suo Figlio e il dono del suo Spirito, attraverso la preghiera e il ministero della Chiesa: il segno di croce e la menzione delle tre divine Persone richiamano l’evento della nostra salvezza.

L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: per questo il confessore ti propone un esercizio penitenziale, che si chiama anche soddisfazione.

Tenendo conto della si­tuazione personale del penitente e cercando il suo bene spirituale, la penitenza deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati commessi: può consistere nella preghiera, in un’offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volonta­rie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare.

Un grande dono per la guarigione

Il sacramento della Penitenza scaturisce direttamente dal mistero pasquale. Infatti, la stessa sera di Pasqua il Signore apparve ai discepoli, chiusi nel cenacolo, e, dopo aver rivolto loro il saluto «Pace a voi!», soffiò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati» (Giovanni 20,21-23). Questo passo ci svela la dinamica più profonda che è contenuta in questo sacramento.

Anzitutto, il fatto che il perdono dei nostri peccati non è qualcosa che possiamo darci noi. Io non posso dire: mi perdono i peccati. Il perdono si chiede a un altro e nella Confessione chiediamo il perdono a Gesù. Il perdono non è frutto dei nostri sforzi, ma è un regalo, è un dono dello Spirito Santo, che ci ricolma del lavacro di misericordia che sgorga dal cuore aperto del Cristo crocifisso e risorto.

In secondo luogo, ci ricorda che è la comunità cristiana il luogo in cui si rende presente lo Spirito, il quale rinnova i cuori e fa di tutti i fratelli una cosa sola. Ecco allora perché non basta chiedere perdono al Signore nella propria mente e nel proprio cuore, ma è necessario confessare umilmente e fiduciosamente i propri peccati al ministro della Chiesa. Nella celebrazione di questo sacramento, il sacerdote non rappresenta soltanto Dio, ma tutta la comunità, che si riconosce nella fragilità di ogni suo membro, ascolta commossa il suo pentimento, si riconcilia con lui, lo rincuora e lo accompagna nel cammino di conversione e maturazione umana e cristiana.

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La celebrazione del sacramento si conclude con un ringraziamento e una lode a Dio. Il confessore può recitare questa bella preghiera di augurio:

La passione di Gesù Cristo nostro Signore, l’intercessione della beata Vergine Maria e di tutti i santi, il bene che farai e il male che dovrai sopportare ti giovino per il perdono dei peccati, l’aumento della grazia e il premio della vita eterna. Va’ in pace.

Il Signore ha davvero perdonato i tuoi peccati e puoi “andare in pace”, cioè sentire nel profondo del cuore la presenza di Cristo che ti ha riconciliato e ti vuole guarire.

Non ci confessiamo, dunque, perché è un dovere confessarsi, ma lo facciamo perché è la strada che la Chiesa ci propone per migliorare la nostra vita cristiana fino a diventare santi. Il male di ciascuno fa male a tutta la comunità: è quindi necessario fare pulizia ogni tanto, bisogna correggere gli atteggiamenti sbagliati, perché desideriamo guarire.

Il sacramento ci dà la possibilità di guarire dai peccati e di ristabilire la comunione ecclesiale. Attraverso l’azione della Chiesa la salvezza di Gesù Cristo raggiunge proprio te, qui e adesso.

– Lodiamo il Signore perché è buono.

– Eterna è la sua misericordia!